Europa come allora è simbolo di spostamento da Oriente a Occidente, di movimento fisico di corpi, ma anche di viaggio e di scoperta.
David Aaron Angeli
Il Mar Mediterraneo è un anello circondato dai popoli; sulle sue coste si sono sviluppati i più antichi continenti, le più antiche società. Culla di mercanti, avventurieri, o semplici viaggiatori, sul "nostro mare" sono fiorite numerose leggende legate alla fondazione di nuove terre.
Da ricettivo artista che plasma sculture in cera - materiale di origine naturale e dalla consistenza plurisensoriale (profuma, si tocca, si ammira, è sensibile alla luce e alla temperatura) - e dà corpo al disegno su carta, David Aaron Angeli interpreta in chiave contemporanea uno dei miti più ancestrali narrati intorno al grande anello acquatico, che del racconto ad anello (ringkomposition) ha tutti gli aspetti. È la storia di Europa, principessa libica che, mentre raccoglieva fiori sulla spiaggia, senza paura si avvicina a Zeus in forma di toro e viene rapita, una storia che parte dalla terra e alla terra ritorna attraverso un lungo viaggio in mare. Quella di Europa è una storia di migrazioni e di scoperta, di amore e di nozze, non solo tra la donna e l’uomo-toro-Zeus, ma anche tra Oriente e Occidente tra uomini e animali, un incontro culturale, uno scambio che è anche offerta di sé, è la storia di tuttI i nostoi (viaggi), simboleggiati da una barca, che nella sua forma più semplice è contenitore di uomini.
La barca è indagata da David Aaron Angeli nella reazione di una cera di colore nero che ricorda il legno con il liquido più primordiale e pulsante di vita: l’acqua di mare, che dipinge le sculture con una delicata incrostazione di sale.
Il percorso (ri)cognitivo dell’artista sul mito di Europa si muove su differenti livelli di complessità, proseguendo coerentemente la sua ricerca materiale e formale: gli spunti derivanti dalla narrazione sono sviluppati autonomamente dando origine a ulteriori interpretazioni e legami simbolici. La figura femminile è personaggio a tutto tondo: fanciulla che rincorre un sogno, madre primordiale e sposa devota, detentrice di un potere arcaico - indicato dal bastone - è pronta a donare e a fare dono di sè al toro, dove elemento animale e mascolino si fondono. Nè l’uno, nè l’altra prevale, nell’unico
momento in cui sono davvero soli con sè stessi, nella notte, in mare, in balia del vento, si attua una continua inversione di ruoli. Durante il viaggio, l’animale diviene un’imbarcazione da cui non è possibile evadere, e tuttavia salvifica; la divinità e la donna condividono un’esperienza migratoria che - come avviene anche oggi - richiede nudità d’animo e abbandono del passato per accogliere usanze nuove con totale apertura.
La mano e il contenitore portano questo concetto a un’estrema sintesi: dopo un lungo studio sulle forme delle coppe e dei vasi utilizzati negli antichi rituali, parallelo a un’approfondimento delle pose gestuali in ambito sacro, David Aaron Angeli unisce l’oggetto alla figura umana, accentuando, attraverso un asciutto linguaggio figurativo, un’ambivalenza tra "portatore" e "portato" che si ritrova nella cavalcata dell’animale da parte di Europa. La prosecuzione del mito, in cui punto di partenza e di arrivo sembrano coincidere, non è sviluppata, in quanto l’interesse dell’artista è concentrato soprattutto sull’incontro e sulla relazione spirituale che nell’attraversamento del mare si consuma; così, anche la carta e la cera, generalmente considerate materiali relativi a stadi intermedi, sono lavorate e cesellate fino al raggiungimento di una compiutezza che non richiede ulteriori sforzi interpretativi, grazie alla presenza volutamente esaltata di tratti istintivi, primitivi.
David Aaron Angeli ricerca un’essenzialità che si libera del decorativismo per raggiungere la purezza della forma e l’intensità del significato; nonostante qualche apparente divagazione sul tema, in cui l’artista introduce figure di centauri (fusione tra uomo e toro), un telamone (emblema del "portatore" per eccellenza), e un misterioso uomo che cavalca una tartaruga (animale dal guscio-contenitore assimilabile perciò a un’imbarcazione anfibia), il filo della narrazione non viene mai trascurato. Il passo della storia è scandito da uno dei simboli che più rimanda all’eterno ritorno del ciclo vitale: si tratta del mitologico uroboro, serpente che si morde la coda la cui fortuna iconografica si perde nell’antico Egitto. Dalla sua testa tutto ha inizio, dalla sua coda tutto ha una fine, è un segno palingenetico che, nel percorso espositivo, rappresenta la ripetizione del mito di Europa attiraverso i secoli fino a oggi. Come il Mar Mediterraneo, anche l’uroboro ha la forma di quell’anello che sancisce i legami inscindibili, da suggello del potere alla fede nuziale, la cui etimologia deriva dalla medesima radice sanscrita che indica lo scorrere del tempo, la ciclicità dell’anno e dei corsi e ricorsi di vita, morte e rinascita della natura.
Camilla Nacci